lunedì 7 ottobre 2013

non abituarsi all’ipocrisia

Ci volevano centinaia di corpi senza vita di uomini, donne e bambini  perché tutti ci accorgessimo nuovamente di quella sorta di olocausto invisibile e senza nome che ha trasformato il Mediterraneo in un cimitero diffuso in cui tutto si dimentica, si disperde, perde di consistenza  e umanità.
Ogni giorno, le politiche di chiusura dei Paesi Europei e dell'Italia in prima linea, producono morte e marginalità, ostinandosi a non capire che l'unica strada possibile è quella dell'accoglienza saggia, della ricerca di equilibrio tra le politiche dedicate al controllo e quelle mirate all'inclusione, dell'investimento sulla cooperazione internazionale. In altre parole, della trattazione dei flussi di milioni di persone che, comunque la si pensi e indipendentemente dai muri che si costruiscono e dai cannoni che si puntano, continua e continuerà a muoversi per tentare di sottrarsi a condizioni di vita disperate; all'assenza di cibo; alle persecuzioni e alle guerre. O, semplicemente, rivendicando il sacrosanto desiderio di accedere almeno alle briciole di quel benessere che abbiamo costruito sulle loro miserie e sul loro sfruttamento.
E di fronte a tutto questo, ascoltando ieri le parole e le frasi ridondanti di politici e rappresentanti delle istituzioni (di tutte le parti e schieramenti, fatta salva la coerente bestialità di lega e leghisti) la percezione era quella di trovarsi di fronte ad un altro sconfinato mare: quello della retorica e dell'ipocrisia. Un universo che solo per un momento è stato spazzato via dalla durezza coraggiosa della sindaca di Lampedusa che da tempo, spesso sola, chiede politiche e attenzione al tema, quando ha chiesto al Presidente del Consiglio diandare sulla sua isola per contare con lei i morti restituiti dal mare.
Una percezione ingiusta? Di parte? Radicale e ideologica? Non lo so, forse la rabbia non  mi fa essere lucido, razionale. Ma se fosse così, se fosse solo una sensazione sbagliata, allora perché i tanti politici che ieri si sono pronunciati permettono che nell'ordinamento giuridico di questo Paese compaia ancora la vergogna del "reato di clandestinità" che, degno delle legge razziali, punisce e reclude non chi commette un reato ma chi si trova a vivere una particolare condizione umana, economica e sociale. Perché, quei politici, non fanno nulla di fronte al fatto che oramai da qualche anno gli unici fondi dedicati all'immigrazione siano quelli finalizzati al contenimento (CIE e dintorni) mentre il fondo per l'inclusione e accoglienza corrisponde a zero. Perché non si sono opposti alle modalità con cui è stata trattata dal Governo l'emergenza Nord-Africa in cui si sono spesi milioni di euro per tenere persone parcheggiate in strutture spesso non idonee, senza nessun progetto e intervento, aprendo così percorsi di abbandono, conflitto  e devianza. Allora perché la politica non riesce a mettere mano alla normativa sulla cittadinanza o ad una nuova legge sull'asilo. E, ancora, perché per la prima volta questo governo ha messo in discussione il finanziamento al sistema nazionale anti tratta che in questi anni ha consentito a più di 25.000 persone di sottrarsi al traffico di esseri umani per fini di sfruttamento sessuale, lavorativo e per accattonaggio. Perché, infine, non si capisce che l'unico modo per evitare i morti in mare e per sottrarre risorse alla reti criminali è quello di garantire flussi di ingresso visibili per l'immigrazione e corridoi umanitari per i profughi?
Di fronte a questa distanza tra affermazioni e prassi, tra proclami e pratiche di governo, penso che ognuno di noi non possa più rimanere passivo ad ascoltare. Credo che se davvero, vogliamo essere vicini a chi ieri ha perso la vita; ai tanti profughi e migranti che invece ieri sono riusciti ad arrivare  e ai tanti che arriveranno nei prossimi mesi, oltre  alla vicinanza e alla prossimità dobbiamo anche impegnarci pubblicamente a non accettare più la falsità e l'ipocrisia come cifra del racconto delle migrazioni e delle tante vite che in esse investono futuro e speranza.

Andrea Morniroli – cooperativa sociale Dedalus

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