03.12.2013
Quanto
accaduto deve far riflettere le Istituzioni su ciò che accade nei luoghi di
lavoro e sul livello di attenzione verso un fenomeno che da sempre è sotto gli
occhi di tutti, anche di quelle amministrazioni che soltanto dopo fatti di
questo genere gridano all'orrore, ma che fino a ieri dimenticavano i diritti di
quei lavoratori che prestano la propria attività in condizioni
para-schiavistiche alle dipendenze di datori di lavoro anche e più spesso, è
opportuno ricordarlo, italiani.
Lo sfruttamento lavorativo è un fenomeno
tanto diffuso – e non solo nei capannoni cinesi ma anche nelle campagne, nei
cantieri, talvolta all'interno delle mura domestiche - quanto ancora oggi
sommerso e spesso dimenticato.
Leggiamo in queste ore che “il Consiglio
comunale chiederà all’unanimità provvedimenti specifici, anche di natura
legislativa, per fronteggiare le nuove forme di schiavismo il lavoro nero, il
mancato rispetto delle regole sulla sicurezza e la fiscalità”.
E' allora necessario ricordare che la
normativa a tutela del lavoratori migranti vittime di tali forme di
sfruttamento c'è: la direttiva europea 52/2009, recante norme minime relative a
sanzioni e a provvedimenti nei confronti dei datori di lavoro che impiegano
cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, contiene precise
disposizioni a tutela dei lavoratori vittime di grave sfruttamento. L'Italia ha
recepito con ritardo di oltre un anno la direttiva, con il D.Lgs. 109/12,
peraltro traducendo in termini palesemente riduttivi le sue disposizioni (ad esempio,
escludendo i casi di sfruttamento riferiti a datori di lavoro che occupano meno
di quattro lavoratori irregolarmente soggiornanti, quindi escludendo a priori i
fenomeni di grave sfruttamento diffusi nelle piccole imprese subappaltatrici e
quelli non certo isolati nell’ambito del lavoro domestico) ed adottando norme
non altrettanto efficaci e idonee a fornire adeguata tutela alle vittime di
questo fenomeno. Si tratta inoltre di una disciplina poco conosciuta e ancora
molto scarsamente applicata; non a caso, dal momento che, a tutt’oggi, non
risultano essere state emanate le essenziali istruzioni operative per
l’applicazione ed il coordinamento da parte degli uffici istituzionali
competenti. A poco servono i proclami di fermezza se poi i fatti dimostrano che
l’inefficienza produce in pratica la tolleranza.
Le cronache riportano dei controlli nelle
aziende - controlli che comunque dovrebbero essere più massicci e continui - ma
non riportano mai della sorte dei migranti costretti a lavorare in condizioni
di sfruttamento. Si finge di non sapere che a nulla serve lamentare l’omertà
delle vittime se queste non sono messe concretamente in condizione –come
dispone la direttiva- di non vivere nascoste, magari negli alloggi di fortuna
che solo gli sfruttatori o i loro intermediari hanno interesse ad offrire, e di
essere tutelate a fronte della cooperazione nelle denunce.
ASGI chiede:
- che la normativa a tutela dei
lavoratori migranti venga implementata mediante un effettivo recepimento della
direttiva 52/09UE;
- che vengano realmente applicate le
norme attualmente vigenti in favore delle vittime di forme di sfruttamento
nell'ambito del lavoro, rispettando l’obbligo di informare sistematicamente
queste ultime relativamente ai loro diritti;
- che venga favorita la formazione del
personale ispettivo preposto ai controlli sui luoghi di lavoro e vengano
altresì adottate concrete misure di coordinamento finalizzate ad assicurare
l’indispensabile sinergia tra personale ispettivo, forze di polizia e autorità
giudiziaria, nonché la collaborazione ed il sostegno nei confronti delle
organizzazioni del privato sociale impegnate nel contrasto dello sfruttamento;
-che la cooperazione con gli stati di
provenienza degli immigrati non venga rafforzata solo per quanto concerne
l’esecuzione dei provvedimenti di allontanamento ma anche in relazione alla
repressione della tratta e dello sfruttamento.
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